L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è stata una delle più devastanti e spettacolari della storia della vulcanologia. Essa ha distrutto le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis, seppellendole sotto metri di ceneri, lapilli e flussi piroclastici. Queste città sono state riscoperte a partire dal XVIII secolo e rappresentano oggi preziosi siti archeologici che testimoniano la vita romana del I secolo.

Però prima lascia che mi presenti, mi chiamo Alfredo ho 21 anni e studio economia , sono appassionato di viaggi e di storia e mi piace l’idea di condividere con altre persone le mie passioni. Spero che questo blog sia di vostro gradimento ! Buona lettura..

La data dell’eruzione

La data dell’eruzione è stata a lungo dibattuta dagli studiosi. La fonte principale è una lettera di Plinio il Giovane (61-114 d.C.) allo storico Tacito, in cui racconta la morte dello zio Plinio il Vecchio, comandante della flotta romana, che si avvicinò troppo al vulcano per osservare il fenomeno. Nella lettera si legge che l’eruzione avvenne il 24 agosto, nove giorni prima delle Calende di settembre.

Tuttavia, alcuni dati archeologici sembrano contraddire questa data e suggerire che l’eruzione sia avvenuta in autunno, probabilmente il 24 ottobre.

Tra questi dati ci sono il ritrovamento di frutta secca carbonizzata, tipica della stagione autunnale, di bracieri usati per il riscaldamento, di mosto in fase di invecchiamento e di una moneta coniata dopo l’8 settembre. Inoltre, nel 2018 è stata scoperta un’iscrizione a carboncino su un muro di una casa in ristrutturazione, che riporta la data del 17 ottobre.

La dinamica dell’eruzione

La dinamica dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è stata ricostruita grazie alle testimonianze di Plinio il Giovane e agli studi dei prodotti vulcanici ritrovati nelle città sepolte. Si possono distinguere tre fasi principali:

La prima fase, iniziata intorno alle 13 del 24 ottobre, fu caratterizzata dall’interazione tra il magma e l’acqua, che provocò una serie di esplosioni e l’apertura del condotto vulcanico.

Da questo si innalzò una colonna di gas, ceneri e pomici a forma di pino, che raggiunse un’altezza di circa 30 km e oscurò il cielo. Le ceneri e le pomici iniziarono a ricadere sui territori circostanti, formando uno strato di diversi metri di spessore.

– La seconda fase, iniziata nella notte tra il 24 e il 25 ottobre, fu caratterizzata dall’emissione di colate di lava basaltica, che scesero lungo i fianchi del vulcano e raggiunsero il mare. Queste colate
distrussero le zone più vicine al cratere, come Oplontis e parte di Ercolano.

La terza fase, iniziata nella mattinata del 25 ottobre, fu caratterizzata dall’emissione di flussi piroclastici, ovvero masse di gas, ceneri e rocce incandescenti che si muovevano a grande velocità lungo le pendici del vulcano.

Questi flussi furono i più devastanti e letali dell’eruzione, in quanto raggiunsero temperature di oltre 400 °C e velocità di oltre 100 km/h. I flussi piroclastici seppellirono completamente Ercolano e Stabia, uccidendo molti abitanti che si erano rifugiati nelle case o sulle spiagge.

Anche Pompei fu colpita da alcuni flussi piroclastici, che causarono il crollo dei tetti e la morte per soffocamento o ustione di molti abitanti.

L’eruzione terminò nel pomeriggio del 25 ottobre, dopo circa 25 ore di attività vulcanica. Il Vesuvio aveva cambiato radicalmente la sua forma e il suo aspetto, mentre le città circostanti erano state cancellate dalla mappa. Solo dopo secoli sarebbero state riscoperte e riportate alla luce dagli scavi archeologici, che hanno permesso di conoscere la vita romana del I secolo d.C.

 La distruzione delle città

Le città colpite dall’eruzione furono sorprese dalla violenza del fenomeno e non ebbero il tempo di organizzare una fuga efficace.

Molti abitanti rimasero intrappolati nelle proprie case o cercarono riparo in edifici pubblici o sacri. Altri invece tentarono di scappare verso il mare o verso le campagne.

A Pompei la maggior parte delle vittime morì soffocata dai gas tossici o schiacciata dal crollo dei tetti sotto il peso delle ceneri.

 A Ercolano invece la maggior parte delle vittime fu travolta dai flussi piroclastici che raggiunsero la città con una temperatura di circa 500 °C. Alcuni corpi furono ritrovati sulle spiagge o nei magazzini portuali, dove si erano rifugiati sperando in una via di salvezza.

L’aspetto della montagna prima e dopo l’eruzione

L’aspetto del Vesuvio prima dell’eruzione del 79 d.C. era molto diverso da quello attuale. Il vulcano aveva una sola bocca vulcanica, situata più in alto rispetto a quella odierna, e una forma più slanciata e regolare. La sua altezza si stima fosse intorno ai 2000 metri, mentre oggi è di circa 1281 metri.

Il Vesuvio era considerato una montagna tranquilla e fertile, non un vulcano attivo.

Sulle sue pendici si ergevano diverse città romane, come Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis, che prosperavano grazie al commercio e all’agricoltura. Il vulcano era anche un luogo di culto per alcune divinità, come Giove e Bacco. 

L’eruzione del 79 d.C. cambiò radicalmente l’aspetto del Vesuvio, provocando il crollo della cima originaria e la formazione di una nuova bocca vulcanica più a sud-est. Il vulcano assunse così una forma più irregolare e asimmetrica, con due coni distinti: il Gran Cono, che è quello attivo, e il Monte Somma, che è il resto della montagna antica. Tra i due coni si apre la Valle del Gigante, che testimonia la violenza dell’eruzione pliniana che distrusse le città circostanti

Successivamente, all’interno della caldera si formò un nuovo cono vulcanico, quello che oggi vediamo, che ha avuto altre eruzioni nel corso dei secoli.

conseguenze dell’eruzione

Dopo l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis furono abbandonate e dimenticate per secoli. Le loro rovine furono ricoperte da strati di materiali vulcanici che le conservarono quasi intatte.

Solo a partire dal XVIII secolo, grazie agli scavi archeologici, si iniziò a riportare alla luce i resti di queste antiche città romane, che offrono una testimonianza unica della vita, della cultura e dell’arte del I secolo d.C.

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ebbe anche conseguenze catastrofiche sull’ambiente circostante. La
nube di calore che si generò durante l’eruzione provocò la vaporizzazione del sangue e dei tessuti delle vittime, la frattura delle ossa del cranio e la carbonizzazione dei corpi.

La temperatura della nube poteva raggiungere i 500 °C e i suoi effetti letali si estendevano fino a 10 km di distanza dal vulcano.

Inoltre, l’eruzione causò la destabilizzazione dei versanti e dei corsi d’acqua della dorsale dei Monti Lattari, dove la spessa copertura di piroclastiti sciolte fu soggetta a fenomeni di erosione e di colate di fango (lahar).

Questi fenomeni modificarono profondamente il paesaggio e la rete idrografica della zona, con possibili danni alle infrastrutture e alle colture.

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è considerata una delle più violente e distruttive nella storia della vulcanologia.

Il suo ricordo è ancora vivo nella memoria collettiva e nella cultura popolare, ma anche nella coscienza dei rischi che il vulcano rappresenta per la popolazione che vive nel suo raggio d’azione.

Si stima che una grande eruzione del Vesuvio potrebbe mettere in pericolo più di un milione di persone, con possibili scenari di evacuazione, emergenza sanitaria e crisi sociale.

Conclusione

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è stata un evento catastrofico che ha segnato la fine di una civiltà e l’inizio di una nuova storia. Le città sepolte sono diventate dei tesori inestimabili per la conoscenza della cultura romana e per la scienza vulcanologica. Il Vesuvio è ancora un vulcano attivo e potenzialmente pericoloso, che richiede una costante sorveglianza e una adeguata pianificazione della protezione civile.

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Alfredo Tagliaferri

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